venerdì 27 marzo 2015

Angeli e demoni


Sono la moglie di Henrique Pizzolato detenuto alla Casa Circondariale di Sant'Anna – Modena, in attesa della decisione sull’estradizione richiesta dal Brasile, che ora è nelle mani del Ministro della Giustizia italiano. Il primo mese di prigione è stato molto difficile per me e per Henrique. Mi sono trovata davanti a un mondo sconosciuto che mi ha messo davanti a sfide enormi.

 Difficile trovare un avvocato, difficile spiegare il complesso caso in cui Henrique è stato coinvolto, senza saper parlare o scrivere l'italiano. Sono stata costretta a cercare un nuovo posto in cui abitare, perché la casa dove alloggiavamo all’inizio era costantemente assediata dai giornalisti brasiliani, rappresentanti delle grandi aziende dei media nazionali. Queste aziende famose per la loro posizione conservatrice che hanno contribuito alla condanna di mio marito attraverso la diffusione di menzogne e omissioni importanti della verità (compreso il fatto che anche loro, come hanno dimostrato le indagini, hanno ricevuto il denaro - per fare marketing - che Henrique è stato accusato di aver deviato a vantaggio di un partito politico) e hanno fatto pressione affinché tutti gli imputati nel processo in cui anche mio marito è stato coinvolto fossero condannati. In sostanza, sapevo di non potermi fidare di loro.
Ho cercato un “agriturismo” in cui trasferirmi, un luogo isolato dove poter concentrarmi per la battaglia che sto combattendo per Henrique. La ragazza dell’agriturismo che mi ha ricevuto ha chiesto il mio documento d’identittà e non appena ha digitato il mio nome e il numero di documento, sullo schermo è apparso un messaggio che le diceva di chiamare immediatamente i Carabinieri. Lei non ha avuto nessuna reazione aggressiva o scomposta; con gentilezza, delicatamente e con tutta la calma possibile mi ha spiegato la procedura, ha fatto la chiamata e mi ha detto che era tutto ok e che io ero la benvenuta nella sua struttura. Le ho spiegato sinceramente cosa stava succedendo a mio marito Henrique e mi sono sentita molto alleggerita, perché ho avuto la sensazione di non essere più sola. Lei ha capito immediatamente il mio livello di fatica e afflizione e ha cercato di confortami, invitandomi a pranzo con sua madre e un altro dipendente dell'agriturismo. Mi sono sentita accolta. Non dimenticherò mai questo momento. Sono sempre stata convinta che gli angeli esistono e che appaiono al momento giusto per aiutare, per far capire che non si è soli e che non ci si deve lasciare andare allo sconforto. Appaiono nel momento di difficoltà per dirmi che sono disposti ad aiutarmi e così trovo la forza per andare avanti. Per comprendere il significato di tutto ciò e per restituire il bene ricevuto, provo a imitarli, a guardare ed essere attenta se qualcuno ha bisogno del mio aiuto. Ma credo che non sarò mai così efficiente come loro.
Il primo giorno che sono andata a vedere Henrique alla casa Circondariale di Sant'Anna a Modena, dal momento che non conoscevo gli orari di visita, sono arrivata ovviamente all’ora sbagliata e mi è stato detto di tornare più tardi. All’ingresso mi aspettava un gruppo di giornalisti brasiliani che mi hanno subito circondata. Mi sono sentita in trappola, senza via di fuga. Sono andata nel primo ingresso famigilari del penitenziario e due ragazze italiane mi hanno chiesto perché i giornalisti mi assillavano in quel modo. Francamente non mi ricordo quello che ho risposto, perché era molto angosciata da tutta la situazione. Ma quello che no dimenticherò mai è che le due ragazze - una delle quali in stato di gravidanza – si sono offerte di proteggermi dicendo che all’uscita mi avrebbero accompagnata…
Quel giorno ho preso alcuni vestiti e qualche frutto da portare a Henrique, perché so quanto gli piace la frutta. Non avevo informazioni sui giorni in cui erano consentite le visite e che cosa era permesso portare dentro al carcere. La frutta tornò a casa con me, perché questo è un alimento che non si può portare ai detenuti.
Il primo colloquio con Henrique è stato angosciante. La prima domanda che ci siamo fatti l’un l’altra è perché stavamo vivendo questa situazione. Questa domanda ha un senso molto ampio per noi, difficile da spiegare agli altri: è necessaria una vita per essere compresa fino in fondo.
Lui mi ha detto: "Non ho mai fatto male, né voluto male a nessuno. Non merito, e nemmeno tu, tutto quello che sta accadendo". Queste frase, per me che conosco Henrique, riflette il suo lato religioso di credente che tenta di seguire, nella pratica, gli insegnamenti di Gesù Cristo, insegnamenti che hanno finito per influenzare e determinare il suo carattere e la sua posizione ideologica dinanzi alla vita. Proverò a spiegare un pò meglio.
Henrique è una persona estremamente convinta che la sua esistenza ha senso se lui può fare del bene per gli altri. Nella sua idea, “gli altri” sono le persone più deboli, coloro che hanno bisogno di aiuto, quelli che, in qualche modo, subiscono ingiustizie o sono emarginati. Ammetto che nei 35 anni che abbiamo passato insieme ho lamentato in un paio d’occasioni che volevo un po' di più della sua attenzione, la stessa che dedicava a questi “altri”. Oggi mi addolora vedere che lui è molto preoccupato per me. La sua angoscia dipende dal non riuscire a fare qualcosa per aiutarmi e difendermi.
Per noi è molto difficile capire le ragione per cui le autorità che rappresentano il Brasile, nel governo del PT (Partito dei Lavoratori), il partito per il quale anche noi abbiamo combattuto affinché arrivasse a governare, convinti che avrebbe difeso la giustizia parimenti per tutti i cittadini, hanno deciso di chiedere l’estradizione di Henrique consapevoli che Henrique non ha commesso i reati per i quali è stato condannato, consapevoli che il processo nel quale Henrique è stato giudicato non è stato equo e che Henrique non ha avuto nemmeno il diritto di ricevere un secondo grado di giudizio come prevede la Costituzione federale del Brasile del 1988. Costituzione che per la quale anche noi abbiamo combattuto affinché fosse approvata dopo il triste periodo della dittatura (1964-1985).
Il primo colloquio con Henrique nella prigione di Sant’Anna è stato molto doloroso e triste, perché non riuscivamo a spiegare l’un l’altro perché stavamo vivendo quella situazione.
Quel giorno, lasciando Sant'Anna, ho potuto contare sulla solidarietà delle due giovani italiane disposte a difendermi dai giornalisti, mentre mi chiedevo come avessero fatto a capire così rapidamente che avevo bisogno d’aiuto. Le ho ringraziate per la solidarietà e per avermi accompagnato. Contemporaneamente ho guardato i giornalisti e l'unica cosa che sono riuscita a dire loro era il sentimento di immensa tristezza per non avere sentito nessuna parola d’umanità da parte dei miei connazionali.
Quel giorno tornai all’agriturismo, cercando la pace, la tranquillità e l’amicizia che avevo trovato lì fin dal primo giorno: un piccolo paradiso.
Dopo il primo mese, fatto solo di  angoscia e sofferenza, io ed Henrique siamo stati testimoni del fatto che le barriere e le frontiere poste dai governanti tra un paese e l’altro non riescono a confinare la più bella e universale qualità dell’essere umano: la solidarietà.
Andrea Haas

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