Quello che segue è il testo che il movimento in difesa di Henrique Pizzolato ha consegnato ai giornalisti durante la conferenza stampa indetta al Senato dal presidente della Commissione diritti umani Luigi Manconi, martedì 16 giugno scorso.
Con il decreto
del 21 aprile 2015 il Ministero della Giustizia italiano ha accordato l’estradizione
in Brasile di un suo cittadino, Henrique Pizzolato. Una decisione eccezionale, se
si pensa che il Brasile non estrada, per dettato costituzionale, i cittadini
brasiliani e che per questa stessa ragione – mancanza di reciprocità – l’Italia
ha negato in passato allo stato sudamericano l'estradizione di un altro
cittadino italiano.
Perché allora nel
caso di Pizzolato è stata presa una decisione diversa?
Motivi giuridici
per negare l’estradizione e per difendere Pizzolato e i suoi diritti, il
Governo italiano ne ha molti e partono dall’art. 5 del trattato di estradizione
tra Italia e Brasile firmato a Roma il 17 ottobre 1989. Fra le altre ragioni,
il Governo italiano deve rifiutare l’estradizione di un suo cittadino: “a) se
per il fatto per il quale è domandata, la persona richiesta è stata o sarà sottoposta
ad un procedimento che non (ha)assicura(to)
il rispetto dei diritti minimi di difesa.(...); b) se vi è fondato
motivo di ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta a pene o
trattamenti che comunque configurano violazioni dei diritti fondamentali."
Il processo in Brasile
In Brasile Henrique
Pizzolato è stato sottoposto a un processo che non ha garantito i suoi diritti
di difesa. È stato giudicato unicamente
dal Supremo Tribunale Federale che, per legge costituzionale, non potrebbe
giudicare Pizzolato, un cittadino comune.
Dal momento che è stato giudicato direttamente e soltanto da questa Corte, Pizzolato non ha avuto il diritto di presentare appello contro la sentenza di condanna, situazione che configura la violazione di un diritto fondamentale di difesa: il diritto al doppio grado di giudizio.
Dal momento che è stato giudicato direttamente e soltanto da questa Corte, Pizzolato non ha avuto il diritto di presentare appello contro la sentenza di condanna, situazione che configura la violazione di un diritto fondamentale di difesa: il diritto al doppio grado di giudizio.
In Brasile,
Pizzolato è stato incastrato in un processo politico.
Un processo violentamente mediatico, perché era
in gioco il mandato dell’allora presidente Lula, icona del Partito dei
lavoratori (PT). L'accusa sosteneva l’esistenza di pagamenti illeciti
(tangenti) ai parlamentari per approvare leggi a favore del governo di Lula. Le
forze politiche che hanno partecipato a questo “gioco” sono stati i partiti
politici che accusavano Lula, e i parlamentari e i rappresentanti del PT che
volevano sottrarsi all’accusa. 40 persone sono state accusate dal Pubblico
ministero, tra cui un ex-ministro del governo, dirigenti del PT e 6
parlamentari.
Pizzolato non
era parlamentare, non faceva parte della direzione del PT, né del governo. Era
un bancario, sindacalista legato al PT ed è stato utilizzato come una
conveniente “spiegazione” dell'origine del denaro che gli accusatori dicevano fosse
servito per pagare i parlamentari. Una spiegazione menzognera che ha però permesso
al PT (il governo e i politici) di evitare di vedere proseguire le indagini in
molte società pubbliche e private. La colpa è stata gettata sulla Banca del
Brasile, o meglio, su un funzionario soltanto della Banca, Henrique Pizzolato,
“il capro espiatorio”, con l'accusa di deviazione di denaro pubblico. Un'accusa
facilmente smontabile già a una prima lettura dei documenti del processo: la stessa Banca del Brasile ha affermato che il denaro non era pubblico ma apparteneva a
una società privata – Visanet –, che non era Pizzolato ad amministrarlo e che
non avrebbe potuto, dalla posizione che ricopriva, ordinare pagamenti con quel
denaro; la Visanet ha inoltre affermato che non c’è stata nessuna deviazione del
proprio denaro.
Pizzolato è
stato ingiustamente accusato, giudicato e condannato per atti che non erano sotto
la sua responsabilità. Atti che sono
stati eseguiti da altri esecutivi della Banca del Brasile come dimostrano TUTTI
i documenti del processo.
In questo
giudizio i media sono stati un elemento di violenta pressione. Uno dei giudici della Corte ha dichiarato che “tutti hanno votato con il coltello al collo”
e che “la stampa ha messo la Corte con le
spalle al muro”; un altro ha lamentato la pressione dei media, pressione
fatta dai grandi mezzi di comunicazione brasiliani per la condanna di tutti gli
imputati.
L’effetto di tutto questo è che molte gravissime
violazioni si sono prodotte nel processo brasiliano:
1) Violazione del principio di imparzialità del giudice. Il giudice, Joaquim Barbosa che ha guidato il processo, ha operato come investigatore nella fase di indagine e ha anche giudicato gli imputati: una chiara violazione del principio di imparzialità, principio che stabilisce che il giudice chiamato a giudicare non possa essere lo stesso che accompagna la fase di indagine;
1) Violazione del principio di imparzialità del giudice. Il giudice, Joaquim Barbosa che ha guidato il processo, ha operato come investigatore nella fase di indagine e ha anche giudicato gli imputati: una chiara violazione del principio di imparzialità, principio che stabilisce che il giudice chiamato a giudicare non possa essere lo stesso che accompagna la fase di indagine;
2)
Violazione del diritto di accesso alle prove. Prove fondamentali sono state
nascoste in un fascicolo parallelo al processo principale, fascicolo secretato dal giudice, Joaquim Barbosa, che ha negato ai difensori degli imputati
l’accesso alle prove;
3) Violazione del diritto al doppio grado di
giudizio. Pizzolato è stato giudicato da un solo tribunale,
incompetente per il giudizio dei cittadini comuni (violazione del “giudice
naturale”), che ha negato il diritto di presentare appello (ricorso).
Le ingiustizie subite
nel corso di questo procedimento hanno indotto Pizzolato alla fuga, consapevole
del fatto che non avrebbe più potuto ottenere giustizia in Brasile. Pizzolato, che oltre a quella brasiliana ha
anche la cittadinanza italiana (dal 1994), non è scappato per sottrarsi alla
propria pena, ma per poter ottenere un processo giusto. Si è infatti sempre
dichiarato disponibile a essere nuovamente processato in Italia, chiedendo quella
giustizia che il Brasile non gli ha saputo garantire.
Il processo d'estradizione in
Italia
In Italia, la
Corte d’Appello di Bologna ha negato l’estradizione (28.10.2014) ritenendo che vi fosse il pericolo
che l’estradando venisse sottoposto a trattamenti inumani e degradanti
(violenze, torture e forse morte) a causa della situazione dei penitenziari
brasiliani riconosciuta come endemicamente drammatica da organismi nazionali,
internazionali e sovranazionali. La Corte ha ritenuto le rassicurazioni offerte
dalle autorità brasiliane meramente formali perché “il fenomeno anche più allarmante della carenza di sicurezza, di
illegalità, di violenza subite dai detenuti e dalle loro famiglie non può dirsi
mutato [dalle iniziative prese, ma ancora ineficaci dal governo brasiliano]
e permane il rischio che le condizioni di
vita negli istituti penitenziari siano irrispettose dei diritti fondamentali
della persona”. La Corte di Bologna conclude “lo stesso complesso carcerario di Papuda risulta teatro di recenti episodi di incontenibile violenza (detenuti
uccisi) indicativi della estensione e
diffusibilità del grave fenomeno di cui si è detto, qualità che rendono
irrilevante che le aggressioni si siano verificate in settori diversi da quello
cui sarebbe destinato il Pizzolato” (udienza del 28.10.2014, sent.
11217/2014 depositata il 4.11.2014)
La Corte di
Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte d’Appello (11.02.2015). Eccezionalmente, la Corte di Cassazione ha fissato in tempi
rapidissimi la discussione del ricorso presentato dallo Stato brasiliano e ha
ribaltato il verdetto iniziale basandosi solo su documenti nuovi prodotti dal
Brasile, i quali dicono che “una nuova ‘ala’,
sezione, recentemente strutturata, riservata ai detenuti c.d. ‘vulnerabili’ è
stata creata nel penitenziario di Papuda”. Chi firma questi documenti, dichiarando
che “la sicurezza e i diritti di
Pizzolato saranno rispettati”, é l’“autorità” che amministra il penitenziario
di Papuda, la stessa autorità responsabile, anche solo per mancata custodia, di
16 omicidi di detenuti verificatisi negli anni 2013 e 2014.
La decisione
della Corte di Cassazione che accetta come esistente e sufficiente la sezione
c.d. “ala dei vulnerabili” nel penitenziario di Papuda è assolutamente
discutibile, tenuto conto che alcuni Pubblici Ministeri brasiliani si sono già
opposti alla creazione di questa “sezione speciale” in quanto violerebbe il
principio costituzionale dell’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla
legge (!).
La Corte di
Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d’Appello, senza rinvio. Passaggio
formalmente scorretto, perché avrebbe dovuto rinviare i “nuovi elementi” alla
Corte d’Appello per un supplemento istruttorio. Un caso eccezionale e strano: non sono stati riscontrati analoghi casi
in cui la Cassazione abbia deciso di procedere in questo modo. La Corte di
Cassazione, infatti, ha semplicemente lasciato che fosse il Ministro della giustizia
a prendere una decisione prettamente politica “l’ulteriore verifica della validità e della concreta rilevanza delle
assicurazioni fornite dallo Stato richiedente doveva essere effettuata dal
Ministro della Giustizia, Autorità di Governo competente per l’emissione
dell’eventuale decreto di estradizione, ciò in considerazione della loro
peculiare dimensione politica intergovernativa” (udienza 11.02.2015, sent.
10965/15 depositata il13.03.2015).
Viste queste
stranezze, non si può ignorare il parallelismo con la vicenda di Cesare
Battisti. Non è un caso infatti che, proprio nei giorni in cui la Corte di
cassazione accoglieva la richiesta di estradizione avanzata dallo Stato
brasiliano nei confronti di Henrique Pizzolato, Battisti venisse arrestato da
un giudice brasiliano che ne ha decretato l’immediata espulsione; espulsione che
è stata evitata dal suo avvocato. È una coincidenza che non può non far
pensare.
Un’ulteriore
eclatante incongruenza è rappresentata dal fatto che Pizzolato è stato
dichiarato estradabile poche settimane dopo che il parlamento italiano ha approvato
un trattato bilaterale [legge n.17/2015] che consente ai cittadini italiani
condannati in Brasile di poter scontare la pena in Italia. La motivazione per affrettare
l’approvazione della legge è stata data dalla deputata italo-brasiliana On.
Renata Bueno secondo cui: “sono note le
condizioni disumane e intollerabili in cui vivono i tanti detenuti italiani e
di altre nazionalità che stanno scontando la pena nelle sovraffollate carceri
brasiliane, contrarie al rispetto dei diritti umani”.
Il Parlamento italiano
ha quindi riconosciuto che i penitenziari brasiliani sono assolutamente
inadeguati a garantire la tutela dei diritti umani dei detenuti e, nonostante
ciò, il Ministro ha ignorato tale dato. Così come ha ignorato l’interrogazione del
26 febbraio 2015 presentata da ventuno senatori italiani, che hanno allertato il
Governo sul rischio di torture e violenze cui Pizzolato andrebbe incontro nelle
carceri brasiliane. Torture e violenze ammesse candidamente dallo stesso Ministro della
giustizia brasiliano, José Eduardo Cardozo, il quale ha recentemente dichiarato
che preferirebbe “morire piuttosto che scontare una pena nelle carceri
brasiliane” e che “le prigioni brasiliane sono vere scuole del crimine”, riferindosi alle organizzazioni criminali esistenti all`interno
delle carceri.
Nessun commento:
Posta un commento