Henrique è stato incarcerato
nel febbraio 2014 nella Casa Circondariale di Modena, nota come Sant'Anna, in
seguito alla richiesta di estradizione presentata dal Brasile. Ero da sola e
dividevo il mio tempo tra lo scrivere freneticamente per riuscire a spiegare all'avvocato
italiano perché Henrique fosse stato ingiustamente condannato in Brasile e le
visite a Henrique nel carcere di Sant'Anna.
Sei ore al mese costituiscono
il tempo concesso a un detenuto perché possa parlare con qualcuno della sua famiglia.
Sei ore al mese è il tempo in cui un detenuto può vedere un figlio, una moglie,
un padre, una madre. Questo significa per contro che i familiari possono
visitare un figlio, un padre, un fratello o il marito detenuto solo 6 ore al
mese.
In
questo tempo d'afflizione ho scoperto quanto un abbraccio sia importante e
quanto mi mancasse.
Nei primi mesi dall’arresto
di Henrique non conoscevo nessuno da abbracciare e con cui condividere il mio
dolore. Sentivo il bisogno di un abbraccio.
Ho avuto bisogno di conquistare
un abbraccio e ho scoperto che era possibile trovarlo nel luogo dove erano le
persone che provavano quello che io stessa provavo: in carcere. Noi, i
famigliari dei detenuti, non abbiamo bisogno di spiegarci nulla per ricevere o per
offrire un gesto di solidarietà. Basta uno sguardo triste perché qualcuno venga
in aiuto, mettendo una mano sulla spalla e questo gesto è già un abbraccio
silenzioso.
In prigione ho incontrato
molti “amici”, persone delle quali non conosco il nome e con cui non ho mai scambiato
nemmeno una parola. Ma quando ci si trova nella sala d'attesa del Sant'Anna, un
gesto, come una stretta di mano o un sorriso di sostegno, acquista il
significato di comprensione reciproca e questo momento è sufficiente per
alleviare un po’ la sofferenza, attraverso la condivisione. Paradossalmente, il fatto
di non ritrovarsi più è una gioia molto grande, perché significa, nella maggior
parte dei casi, che il detenuto ha cambiato la sua situazione in meglio: o è agli
arresti domiciliari o è in libertà (!).
Un giorno, dopo aver
salutato Henrique ed essendo ancora nella sala in cui si tiene il colloquio, ho
pianto rendendomi improvvisamente conto che, nel caso di Henrique, su cui pende
una richiesta di estradizione, il fatto di non essere più al Sant'Anna potrebbe
significare un netto peggioramento della situazione presente: nel caso venisse
estradato dovrebbe scontare una pena ingiusta nelle terribili e medioevali
carceri brasiliane. In quel momento non sono riuscita a dire nulla, ma sono
stata presto consolata dagli altri familiari presenti.
Ammetto di aver sviluppato
alcune “tecniche mentali” per non abbattermi emotivamente, riuscendo così ad
avere la forza necessaria a combattere contro l’estradizione di Henrique: 1) non
pensare a una situazione peggiore di quelle finora affrontate: la detenzione di
Henrique in un carcere brasiliano; 2) non lasciarmi contagiare dalla rabbia per
le ingiustizie subite da parte di persone ciniche che hanno strumentalizzato
Henrique, trasformandolo in un “affare”; 3) mantenere la speranza e credere che
la giustizia sia ancora possibile, conservando le forze per fare la mia parte
affinché la giustizia perché trionfi.
Nei primi mesi di carcere a
Sant'Anna, Henrique soffriva molto, anche per me, sapendo che ero sola. Un
giorno in un colloquio, mi ha detto che aveva parlato con una volontaria che
lavora a Sant’Anna, chiedendole di contattarmi per aiutarmi. Questa persona mi
ha poi chiamato fissando un incontro e, poiché non conoscevo l’italiano, si è
fatta accompagnare da un’amica che, avendo vissuto per un certo periodo di
tempo in Brasile, parlava il portoghese e così ci siamo conosciute.
Nella Pasqua del 2014, quelle
due signore mi hanno invitato a partecipare a una celebrazione religiosa che si
sarebbe svolta in campagna. Faceva freddo, era notte e non sono riuscita a
farmi un’idea precisa dell’ubicazione del posto, ma ho potuto distinguere una
casa di campagna e, vicino, una costruzione un po' in rovina. Collegata alla
casa c'era una piccola cappella molto semplice ed accogliente, grande
all’incirca 4 metri per 6, che si è riempita di vita con la presenza di molte
persone riunitesi lì quel giorno per celebrare la resurrezione di Gesù.
Dopo la celebrazione, tutti
sono andati in un'altra ala di quel borgo di case per scambiarsi gli auguri:
quel giorno mi sono sentita una persona normale, con una vita normale. E
desideravo che anche Henrique potesse essere lì.
Col tempo ho avuto l’occasione
di conoscere meglio queste persone che ho scoperto far parte della Comunità
cristiana di base del Villaggio e di comprendere perché erano riuniti lì in quel
giorno e con quale spirito si riunivano settimanalmente. Nel corso del tempo ho
scoperto che queste persone, oltre allo studio della Bibbia e agli insegnamenti
di Cristo, mettevano anche in pratica quegli insegnamenti, partecipando ad
attività comunitarie e di volontariato tra cui quelle con i detenuti e le loro
famiglie. L'occasione di incontrare queste persone nella Pasqua del 2014, ha
rappresentato, per me e per Henrique, una vera e propria resurrezione: abbiamo
nuovamente potuto credere nella solidarietà, l’abbraccio più importante che
esiste in questo mondo che offre la forza sufficiente per riscattare l’ingiustizia.
Buona Pasqua. Un abbraccio
a tutti gli amici e le amiche. Aprile 2015
Andrea Haas
Nessun commento:
Posta un commento