“Pizzolato sarà estradato dall’Italia senza avere ottenuto il diritto costituzionale che gli è stato negato dalla Giustizia brasiliana: il secondo grado di giudizio”, dice Paulo Moreira Leite, giornalista e direttore del Brasil247 di Brasilia. “Difficilmente la fuga in Italia ci sarebbe stata se nell’agosto del 2012, all’inizio del processo, il Supremo Tribunale Federale avesse assicurato a lui, e agli altri accusati nella azione penale n.470, il diritto al secondo grado di giudizio”.
di Paulo Moreira
Leite - giornalista brasiliano, è autore del libro “Un'altra storia del
Mensalão”
25 aprile 2015
Il ritorno di Henrique Pizzolato non è una scelta utile al Brasile né ai
brasiliani. I lettori di questo spazio sanno qual è la mia opinione su questo
caso. Sono convinto che il Supremo Tribunale Federale (Corte suprema) ha
condannato Pizzolato a 12 anni e sette mesi di carcere senza disporre di prove sufficienti,
in quel contesto di persecuzione e spettacolo mediatici che ha segnato il processo
dell’azione penale n.470.
Ma lasciamo da parte, per un minuto, questi argomenti. L’elemento
principale, dal punto di vista dei diritti fondamentali, è che il ritorno
forzato in Brasile ha impedito che Pizzolato avesse accesso, almeno in Italia, a
un diritto costituzionale che la Corte suprema brasiliana ha negato a tutti gli
accusati della azione penale n.470: un secondo grado di giudizio.
La Costituzione federale garantisce a ogni comune cittadino brasiliano così
come agli stranieri il diritto di un secondo grado di giudizio, la garanzia di
poter ricorrere in appello a un altro tribunale. Questo perché si considera non
solo che i giudici siano fallibili, come lo sono tutti gli esseri umani, ma che
la libertà è un bene troppo prezioso e deve essere protetta da mani
incompetenti e giudici condizionabili.
In Italia, Pizzolato avrebbe potuto ottenere un secondo giudizio – nel
caso avesse convinto la giustizia di quel paese a offrire questa opportunità a
un condannato che ha la cittadinanza italiana. Non è successo ma sarebbe stata
una buona cosa per il paese.
L’Italia non è solo il paese di Mani Pulite. È anche il luogo in cui il
professore Luigi Ferrajoli ha costruito la teoria garantista, che sostiene che
il principale compito della giustizia deve essere la protezione delle garanzie
individuali davanti allo Stato. È stata una dottrina necessaria a un paese che
si è trovato a dover giudicare il terrorismo delle brigate rosse e di altri
gruppi armati negli anni ‘70 e ‘80. Non a caso il garantismo ha ricevuto la
benedizione di Norberto Bobbio, uno dei più importanti intellettuali in quegli
anni.
Anche se non è possibile anticipare la sentenza finale, un secondo
giudizio permetterebbe di guardare con nuovo sguardo le prove e le denunce che
tra il 2005 e il 2012 furono esaminate in un contesto fortemente politicizzato,
tendenzioso e “mediatizzato”. Fatti e testimoni che potevano essere determinanti
per la difesa furono nascosti in una inchiesta parallela, secretati in un
fascicolo che non poté essere visionato da altri giudici: solo il giudice
Joaquim Barbosa (che ha guidato il processo) e il pubblico ministero Antônio
Carlos Fernando de Sousa ebbero accesso integrale a questi documenti.
In questa inchiesta finirono archiviate e nascoste diverse scoperte
interessanti. Per esempio è tra quelle carte che si può scoprire che Pizzolato,
condannato per aver liquidato somme di denaro – che, secondo la accusa, furono
usate dai dirigenti del PT (partito dei lavoratori) per comprare voti dei
parlamentari -, non è mai stato responsabile della gestione di questo denaro,
né ha liquidato o effettuato pagamenti con questo denaro. Pizzolato non liquidò
1 centesimo, tanto meno i 55 milioni di reais che, sempre secondo la accusa,
sono il totale denunciato nella azione penale n.470.
Questo denaro era stato movimentato dalla firma di altro direttore della
Banca del Brasile, convenientemente tenuto lontano dall’elenco degli accusati, perché
questo personaggio non aiutava il PM a provare la sua versione dei fatti,
ricostruita al fine di accusare il PT (Partito dei lavoratori). Lì si trova
anche una novità scioccante. Una relazione di controllo eseguita dalla Banca del Brasile che conclude, dopo un esame serio e professionale, che il denaro di
cui si chiedeva conto nell’impianto dell’accusa, non apparteneva alla Banca del
Brasile, non era denaro pubblico. Il denaro apparteneva ad una a società privata,
Visanet, che non ha mai ha registrato la mancanza di questo volume gigantesco di
soldi nella sua contabilità.
Ecco perchè un secondo grado di giudizio potrebbe finalmente prendere
in considerazione le prove e i documenti che dimostrano come il denaro della
Visanet non sia stato deviato, bensì normalmente utilizzato nelle campagne
pubblicitarie della marca Visa.
La possibilità che fatti così eclatanti, avvenuti nel processo svolto
in Brasile, potessero essere rivelati e dibattuti in un paese straniero, aiuta
a comprendere lo sforzo del Pubblico Ministero per garantire che Pizzolato
fosse estradato in Brasile senza incidenti di percorso, senza un altro giudizio.
Il PM - l'accusatore di Pizzolato - si è messo nella posizione di parlare in
nome dello Stato Brasiliano nelle negoziazioni con le autorità italiane, una
posizione che, nell’interpretazione giuridica corrente, spetta ai leader eletti
del paese: il PM non è eletto dal popolo e non ha la competenza per parlare in
nome degli interessi del Brasile, giusto?
Non pretendo di giudicare Pizzolato per la decisione di fuggire. Ognuno
sa come reagirebbe davanti a una minaccia alla propria libertà, specialmente in
funzione di una decisione che considera assolutamente ingiusta, inaccettabile.
Ed è così che egli giudicava la condanna ricevuta dalla Corte suprema
brasiliana.
Ma è innegabile che, nel lasciare il Brasile, Pizzolato pretendeva e confidava
– pur se per vie contorte – di ottenere un diritto che la giustizia brasiliana
gli aveva negato. La fuga difficilmente ci sarebbe stata se nell’agosto 2012,
all’inizio del processo, Il Supremo Tribunale Federale avesse assicurato a lui,
e agli altri imputati nel processo (azione penale n.470), il diritto al secondo
grado di giudizio.
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