Modena, 19 ottobre
2015
Signor Ministro Andrea Orlando,
senza che intervenga prima una sua
decisione, è probabile che giovedì prossimo, 22 ottobre, solerti funzionari
brasiliani saranno pronti a eseguire il trasferimento di Henrique Pizzolato nel
carcere a cui l’avete destinato.
Ancora una volta, come il 23 giugno e
come lo scorso 7 ottobre, ci troviamo in un angosciante conto alla rovescia. Anche
solo questo balletto di ultimatum e rinvii basterebbe a rivelare l’anomalia del
processo di estradizione a cui il Governo sta sottoponendo un suo cittadino e
l’indifferenza nei confronti della sua dignità di essere umano.
Ancora una volta tentiamo di esprimerle la
preoccupazione che nutriamo per il destino di Henrique e l’amarezza per come il
nostro paese e il Governo che l’amministra sta eludendo, “all’ombra della
legge”, i suoi fondamentali principi democratici.
Lei è ancora in tempo a cambiare le
sorti di Henrique e non per vie eccezionali o “di favore”, ma in base alle
prerogative del suo ruolo. I tribunali possono definire a quali condizioni
l’estradizione è formalmente corretta,
ma è lei a dover stabilire se è giusta.
Gli elementi forniti dalla difesa di
Henrique sono stati accolti da alcuni tribunali italiani (la Corte d’Appello di
Bologna e, in un primo momento, il Consiglio di Stato) e rifiutati da altri (la
Corte di Cassazione e, in seconda battuta, il Consiglio di Stato), segno che anche
la valutazione “tecnica” degli organi giudiziari italiani è tutt’altro che
unanime. E questo, che lei lo voglia o no, rappresenta un evidente viatico per
una sua presa di posizione contro il trasferimento, dagli esiti incertissimi,
di un suo concittadino nelle prigioni brasiliane. Inutile nascondersi dietro a
un dito: è nelle sue prerogative e nelle sue possibilità garantire a Henrique
Pizzolato un futuro di dignità, se non di giustizia. Qualora “decida di non decidere”
e di lasciare che le cose vadano per il loro corso, si tratterà di un chiara
presa di posizione politica di cui dovrà rendere conto anche quando Henrique
non si troverà più in Italia.
I nostri primi e più importanti motivi
di angoscia, non ci stancheremo di ripeterlo, riguardano le terribili
condizioni carcerarie del Brasile. Non solo non passa giorno che non arrivino
alla nostra attenzione articoli di cronaca, dossier, inchieste che rivelano il
livello di violenza e disumanità nella gestione ordinaria delle carceri
brasiliane, ma è lo stesso Parlamento italiano che ha riconosciuto il collasso
del sistema penitenziario del Brasile. Lo ha fatto lo scorso febbraio
ratificando il trattato bilaterale (legge n.17/2015) che consente ai cittadini
italiani condannati in Brasile di poter scontare la pena in Italia.
Certo in quanto accordo bilaterale, il
trattato non poteva contenere delle accuse frontali alla gestione carceraria
della controparte brasiliana. Ma tali accuse sono state esplicitate dall’onorevole
Renata Bueno in sede di dibattito parlamentare per convincere i suoi colleghi della
necessità di firmare l’accordo: “Le autorità carcerarie brasiliane sottopongono
i detenuti a umiliazioni e a condizioni di vita in aperto contrasto con i
princìpi contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e con
il trattamento umanitario dei detenuti sanciti da carte e accordi
internazionali.” (Atti parlamentari della Camera dei deputati del 17 maggio del
2013, n. 996). Che poi l’onorevole Bueno sia al tempo stesso la più fervida e
attiva sostenitrice dell’estradizione di Henrique in Brasile non dimostra solo
il gattopardismo di una politicante spregiudicata e senza scrupoli, ma anche il
ruolo che nell’“affare Pizzolato”, al pari dei grandi interessi internazionali,
hanno giocato, probabilmente, più meschini interessi di carriera politica
Data questa cornice, non riusciamo proprio
ad accettare che, per la prima volta nella sua storia, l’Italia abbia deciso di
estradare un suo cittadino in Brasile. L’accanimento nei confronti di Henrique
non trova motivazioni comprensibili né accettabili, non almeno dalla
prospettiva di noi comuni cittadini. Perché parliamo di accanimento? Perché lei
e il suo Ministero avete avuto a disposizione in questi mesi moltissimi e
stringenti elementi politici per opporvi alla richiesta di estradizione
avanzata dal Brasile. Ne ricordiamo solo alcuni.
1. Il trattato di estradizione tra
Italia e Brasile non soddisfa la condizione di “reciprocità”. Il Brasile non
può e non potrà mai, almeno fino a quando non cambierà le proprie leggi,
estradare un proprio cittadino in Italia. Non si capisce perché l’Italia, forte
di questo elemento, non possa tenere nel “caso Pizzolato” la schiena più
dritta. Nel 2001 questo argomento è stato usato per negare la richiesta di
estradizione di un cittadino italo-brasiliano, Salvatore Cacciola, proprio
perché il “Brasile non ha fornito idonee garanzie di reciprocità in ordine
all’estradizione in Italia di propri cittadini”. Perché nel caso di Henrique
usare pesi e misure così spudoratamente diversi?
2. Lo stesso trattato prevede che non ci
possa essere estradizione se il "richiesto" non ha avuto nel proprio
paese un giusto processo e nel caso in cui l'estradizione metta a repentaglio
la sua incolumità. Il caso di Pizzolato rientra perfettamente in entrambi
questi parametri. Lei sa che l’iter giudiziario che in Brasile ha stabilito la
condanna di Henrique si è svolto sotto una fortissima pressione mediatica che
ne ha inficiato la correttezza: mancanza di un doppio grado di giudizio e impossibilità
di avvalersi di un giudice imparziale, naturale e precostituito, come anche la
Costituzione brasiliana prevede.
Nel caso venisse estradato, la stessa
pressione politica e mediatica, che lei probabilmente ha sperimentato in questi
mesi da parte del Governo brasiliano, esporrebbe Henrique Pizzolato a rischi di
violenza, minacce e ritorsioni se possibile ancora maggiori di quanto
normalmente accada nelle prigioni brasiliane.
3. Un ulteriore clamoroso argomento
politico è rappresentato dal trattato precedentemente citato in base al quale i
cittadini italiani detenuti in Brasile possono scontare la loro pena in Italia.
Il suo Ministero ha scritto, nel decreto di estradizione del 1° ottobre scorso,
che non può fare ricorso a tale trattato perché è stato ratificato solo
dall’Italia. Non so quanto se ne renda conto, signor Ministro, ma questa scusa
risulta irritante per la sua natura pilatesca e inaccettabile a ogni persona di
buon senso. Il Parlamento italiano ha firmato quel trattato e questo sarebbe
più che sufficiente a fornire una cornice di correttezza istituzionale nonché
di equità al suo rifiuto di estradare Henrique Pizzolato in Brasile.
Pizzolato è un cittadino italiano, attualmente
detenuto nel sistema penitenziario italiano, lo stesso sistema nel quale il
Parlamento italiano vorrebbe portare tutti i suoi cittadini detenuti in
Brasile. Perché condannare Henrique a un percorso opposto? Se così accadrà, sarà
per una Sua scelta precisa e consapevole, non perché glielo impongono le
normative vigenti.
Chi, come noi, ha conosciuto Henrique
dalla prospettiva di persone comuni, non riesce a concepire come, in nome di ragioni
che nulla hanno a che vedere con la cultura del diritto, un nostro amico e
concittadino possa essere consapevolmente esposto al rischio di subire, insieme
ai suoi cari, pressioni intollerabili e violenze fisiche e psicologiche di cui
non conosciamo le proporzioni.
L’Italia, nonostante i problemi a lei ben
noti del nostro sistema carcerario, è in grado di offrire a Henrique Pizzolato quelle
condizioni minime di dignità che andrebbero garantite a ogni essere umano e che
le prigioni del Brasile non sono palesemente in grado di offrire.
Confidando fino all’ultimo nel suo senso
di giustizia e in quello del suo Ministero, continuiamo nella nostra opera di
informazione e sensibilizzazione, che proseguiremo, con ancora maggiore
convinzione, anche nel caso Henrique Pizzolato sia estradato.
Distinti saluti,
Comunità
del Villaggio di Modena
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